I libri:

Il commercio e lo scambio di beni non sempre avvenivano utilizzando le vie ufficiali. Spesso il contrabbando era l'unico mezzo per il sostentamento di intere famiglia. A volte erano le stesse casate nobiliari, oppure istituti religiosi, ad alimentarlo per scopi personali, politici ed economici. Nel saggio sotto riportato e contenuto nel libro "Pietro da Talada. Un Pittore del Quattrocento in Garfagnana" la scrittrice Normanna Albertini, approfondisce questo tema.

Sentieri e vie di contrabbando: il sale

di Normanna Albertini

Apparirebbero eccentriche oggi, in tempi in cui i medici raccomandano diete iposodiche per evitare l’insorgenza di malattie come l’ipertensione, le prescrizioni della Scuola di medicina salernitana del Duecento: Prima di ogni altro cibo a tavola si metta il sale, che alletta la gola e dà gusto al mangiare”. Eppure, in quel periodo il sale veniva visto come un nutrimento pregiato e salutare, utile alleato contro la fame. Era il sale che rendeva appetibili i cibi “rimediati”, quelli di una cucina poverissima, ma abbastanza creativa da inventare piatti oggi recuperati e serviti nei migliori ristoranti; cibi altrimenti troppo mediocri, pesanti, insipidi.
Soprattutto, il sale era l’unico conservate disponibile. Proviamo ad immaginare, in assenza di refrigerazione e di altri conservanti chimici, quale importanza avesse poter preservare ed immagazzinare scorte di cibo che permettevano di affrontare lunghi viaggi e traversate marine, rendendo possibili gli scambi commerciali.
Per non parlare dei periodi invernali e di carestia, in cui unicamente le scorte erano in grado di salvare la popolazione. Il sale era l’elemento fondamentale per la lavorazione la stagionatura delle carni di maiale, del pesce (marino e d’acqua dolce), delle verdure, delle olive e, in alcune zone, persino delle uova. Un uso abbondante di sale richiedeva tutta la lavorazione e trasformazione del latte in formaggi, altro genere alimentare a lunga conservazione (nel Parmigiano Reggiano il sale è ancora oggi l’unico conservante). Le invasioni barbariche avevano incentivato l’uso del sale, essendo la maggior parte degli invasori allevatori di bestiame.
Questo è vero anche per gli Arabi, giunti nel sud Italia, che consumavano carne di pecora e pesce sotto sale. Dal IX secolo, Carlo Magno e i suoi successori promossero un’economia fondata sull’autonomia dei territori vassallatici, rinunciando ad ogni forma di controllo sul commercio del sale, quindi i signori e gli abati iniziarono a produrre o a far produrre il sale dai loro contadini.
Poiché le proprietà dei monasteri erano parecchio distanti l’una dall’altra, c’era l’esigenza di far trasportare il sale dove ce n’era bisogno e le eccedenze venivano distribuite tra i contadini o vendute.
I monasteri furono così gli iniziatori del commercio del sale. In realtà, per la povera gente il sale rimase sempre insufficiente, perché troppo costoso, così ci si arrabattava, quando possibile, a produrlo con pratiche grossolane o a sostituirlo con ceneri vegetali. È nel XII secolo che i signori (i primi furono i conti di Provenza) si impadronirono dello sfruttamento del sale e ne fecero mezzo fiscale e politico, dando origine a monopoli e gabelle[i]. In seguito, anche i comuni istituirono le gabelle, che divennero “il pezzo forte delle finanze comunali”.
Oltre che per l’alimentazione, il sale veniva ampiamente impiegato nella concia delle pelli, proteggendole dalla putrefazione, nella produzione delle ceramiche e del vetro (per le sue proprietà disidratanti) e nella metallurgia. Le virtù del sale riguardavano anche la medicina: era usato come disinfettante per piaghe e ferite, come purgante e per provocare il vomito.
Chi controllava il commercio del sale aveva dunque un potere immenso sulle popolazioni, perché controllava direttamente la loro possibilità di sopravvivenza. Ecco perché il sale fu una delle merci più contrabbandate e un solido contrabbando si sviluppò anche nei percorsi del crinale tosco emiliano, dove nacquero le “vie del sale”.
Trasportarlo non era semplice: il sale è pesante e le navi non potevano riempirne le stive. L’imballaggio doveva essere resistente per non far passare l’acqua e per mare il sale viaggiava chiuso in barili.
Sui sentieri scoscesi delle montagne lo si spostava in sacchi abbastanza leggeri tanto da non appesantire troppo i muli; tuttavia, i viaggi erano faticosi e si dovevano evitare gli acquazzoni per non perdere il carico. Qualcuno ha infatti ipotizzato che il gran numero di hospitali esistenti tra la Toscana e l’Emilia avessero la funzione di proteggere il commercio (e il contrabbando) del sale, più che i pellegrini di passaggio:

Molte delle istituzioni ospedaliere qui individuate hanno ben poco a che fare con la viabilità. Sono strutture che nascono per organizzare delle rendite intorno a precise figure di religiosi di ben individuabili famiglie dominanti. Posso anche ammettere che abbiano ospitato gente che veniva sorpresa dal buio nel ritorno dall'alpe per funghi o per legna: poteva succedere, non c'erano orologi da polso all’epoca, e chi è fungaiolo sa che non si smette mai volentieri, se la raccolta è favorevole. E qui, nell'”acquaio d'Italia”, come dice mia madre, la raccolta è quasi sempre ricca e favorevole. Così come saranno stati utili per la transumanza e per il contrabbando del sale, specialmente se attaccava a piovere. Ma che fossero usati da frotte di pellegrini di passaggio sarebbe quasi sicuramente una forzatura ideologica.

 


[i] Il termine gabella (dall'arabo dialettale gabēla, variante di qabāla, passando per il latino medievale gabulum) indicava, nel diritto tributario all'origine in Francia e in Italia, le tasse indirette sugli scambi e sui consumi di merci. Erano riscosse da esattori particolarmente invisi alla popolazione, i gabellieri, figura a metà fra l'ufficiale pubblico e un libero concessionario in proprio. Le gabelle sui generi alimentari di prima necessità (grano ecc.) erano spesso applicate in maniera onerosa ed abusiva. Tristemente famosa era la gabella sul sale, istituita in Francia nel XIV secolo.

[ii] Fabrizio Vanni, “Ambiguità degli indizi sulla viabilità storica nella Garfagnana medievale” www.centrostudiromei.eu