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La Storia


La viabilità medievale nella valle del Serchio e la nascita degli hospitalia pauperum

 

         Fin dall’epoca romana, Lucca si era trovata al centro di un sistema viario disposto a raggiera che, oltre a renderla più funzionale, le aveva garantito una posizione di rilevante interesse strategico; verso la città, infatti, trovavano convergenza tutte quelle strade che, attraverso i territori e le vallate circostanti, gravitavano direttamente sulla relativamente ampia pianura lucchese (1). Recenti indagini archeologiche hanno messo in evidenza il fatto che le vie lastricate e rettilinee, realizzate dai Romani nelle zone periferiche di Lucca, vennero riutilizzate anche durante l’alto medioevo. Furono i Longobardi a ripristinare, dal VI secolo in poi, alcuni di questi tracciati e a costruirne di nuovi per collegare il centro urbano con gli abitati sparsi nel contado e le realtà territoriali più decentrate. Tale sistema stradale permetteva loro di avere il controllo diretto del territorio circostante, ma anche un accesso più agevole a quelle strutture fortificate che la stessa popolazione longobarda andava costruendo sulle alture vicino alla città e nelle zone montuose dell’interno. Queste opere di difesa militare sarebbero servite per contrastare eventuali attacchi da parte dei Bizantini che, in quella stessa epoca, si erano stanziati nella zona compresa fra la Liguria e la Lunigiana e controllavano i passi appenninici orientali.

       Le strade del medioevo erano abbastanza rudimentali e seguivano traiettorie piuttosto sinuose in quanto, di solito, collegavano fra loro centri di secondaria importanza; le medesime strade riuscivano a soddisfare esigenze di traffico assai limitate, poiché si presentavano come dei sentieri di collina ed erano soggetti ai forti dislivelli, dovuti alle caratteristiche morfologiche del terreno. Qualche studioso di viabilità medievale sostiene che le vie di quell’epoca vanno considerate come semplici “tracce”, poiché non avevano murature di sostegno né un fondo stradale consolidato. Lungo questi percorsi, il viandante era solito incontrare ostacoli di vario genere rappresentati, solitamente, da torrenti in piena, frane e zone paludose. Solo in corrispondenza dell’attraversamento di alcuni centri abitati le vie presentavano dei tratti lastricati ma, subito dopo, tornavano ad avere le caratteristiche dei tratturi di campagna.  

   “Quasi certamente – afferma W. Baricchi - le matrici della viabilità storica, ed in particolare quella montana, così come si è sviluppata in un amplissimo intervallo di tempo dall’Alto Medioevo fino alle soglie dei giorni nostri, risalgono alla riorganizzazione territoriale conseguente alle vicende che videro contrapposti bizantini e longobardi (…). La necessità di garantire i collegamenti interni ad un vasto territorio centro-settentrionale, tra la capitale longobarda Pavia e la Tuscia determina la scelta di itinerari alternativi longitudinali transappenninici talvolta riutilizzando diramazioni romane come nel caso del passo di Monte Bardone (la Cisa) cui si congiungerà la famosissima via Francigena” (2).

     La valle del fiume Serchio era attraversata in tutta la sua lunghezza da un antico tracciato che, secondo alcuni studiosi locali, deve essere identificato con la romana via Clodia (Via Clodia Nova o Claudia secunda). Mediante il passo di Tea, esso congiungeva il bacino del Serchio con quello della val di Magra, quindi, la città di Lucca con l’insediamento romano di Luni (3). Questo tratto di strada tornò ad essere frequentato soprattutto durante il medioevo, quando fu scelto come itinerario alternativo ad un segmento costiero della via francigena che collegava Luni con Camaiore e, quindi, con Lucca. Tale percorso era stato abbandonato perché soggetto a frequenti incursioni barbariche e ad altri rischi derivanti dalla presenza di zone malariche lungo l’alta costa del mar Tirreno.

             La Clodia risaliva la valle del Serchio partendo dalla città di Lucca. Dopo essere uscita dalla porta settentrionale, la strada proseguiva in direzione nord-est correndo in maniera pressoché parallela lungo il corso del Serchio. Dopo un tratto di circa sei miglia, all’altezza di Sesto (Sesto di Moriano – Lucca), essa modificava la sua traiettoria immettendosi in valli secondarie che permettevano di aggirare gli ostacoli naturali presenti lungo l’argine del fiume. Più avanti, la strada tornava a scorrere nel fondovalle, ma dopo poche miglia, si indirizzava di nuovo verso un percorso più interno.

           Le prime tappe della via consolare sono testimoniate, ancora oggi, da evidenti toponimi di origine romana che segnavano la distanza progressiva da Lucca: Sexto (Sesto di Moriano), Octavo (Valdottavo – Borgo a Mozzano) e Decimo (Diecimo - Borgo a Mozzano). La toponomastica superstite e le più recenti indagini archeologiche hanno dimostrato che le deviazioni più evidenti erano quelle tra Sesto di Moriano e Valdottavo; tra Diecimo e Gioviano (Borgo a Mozzano); tra Gallicano e Castelnuovo. Da qui, la strada consolare proseguiva, in modo più o meno rettilineo, seguendo un itinerario, non chiaramente definito, che portava fino a Piazza al Serchio (l’antica Sala); quindi, la via romana si immetteva nel bacino del Magra. Attraverso il passo di Tea e la valle del torrente Aulella scendeva fino a Luni e da qui raggiungeva Parma e Piacenza (4). L’arteria principale dava origine ad alcuni tracciati secondari che, seguendo gli affluenti del Serchio e quelli del Magra, si inoltravano lungo le valli minori e raggiungevano i valichi di montagna.

           Nei tratti più a valle, ovvero da Gallicano fino alla foce del Serchio, la viabilità di terra era integrata, assai spesso, dalla navigazione fluviale, la quale permetteva uno spostamento più rapido delle merci. Come appare evidente dal proclama di Enrico IV del 1081, di cui abbiamo parlato nel capitolo precedente, un tratto del fiume Serchio, la cui portata d’acqua, nel passato, era di gran lunga superiore a quella attuale, poteva essere percorso da alcune piccole imbarcazioni provenienti direttamente dal mare. Grazie alla forza dei venti o all’aiuto degli animali da tiro che, camminando lungo la riva, le trainavano contro corrente, molte barche o chiatte cariche di merci riuscivano ad inoltrarsi fin quasi al centro della vallata. A riprova di ciò basta ricordare che tutte le imbarcazioni che navigavano lungo il corso del Serchio, erano tenute a pagare una specifica gabella quando passavano davanti all’ospizio di S. Martino in Greppo, nel territorio di Diecimo. Questa tassa veniva pagata anche da coloro che camminavano sulla terraferma e andava ad incrementare le casse del vescovato di Lucca (5).  

            Al sistema stradale locale e a quello a più vasto raggio, si collega, a far data dall’VIII secolo in poi, l’individuazione di apposite aree di sosta presso le quali possono trovare un rudimentale luogo di accoglienza tutti coloro che, per motivi diversi, devono praticare degli spostamenti. In un primo momento, questi centri di ospitalità sono presenti solo all’interno delle mura cittadine o nell’immediata periferia; successivamente, essi si diffondono soprattutto nelle zone rurali e la loro funzione appare direttamente collegata alle esigenze di viaggio dei viandanti.  

          L’origine di tali istituzioni di solito è collegata alla pietà popolare, ma non è raro che la loro fondazione possa essere frutto di donazioni e lasciti da parte di una consorteria feudale o anche di una singola famiglia nobile.

               I primi xenodochia, come vengono definiti gli ospedali che danno asilo ai forestieri, sorgono all’interno della città o nelle sue vicinanze; di solito svolgono funzioni diversificate ma non specializzate essendo contigui, quasi sempre, a chiese o monasteri preesistenti (6). In un secondo momento, gli stessi assumono una connotazione più specifica che li indirizza verso l’assistenza agli ammalati ed ai bisognosi; vengono identificati, quindi, come ‘casa degli ammalati’ o semplicemente domus. L’ospedale di S. Luca della Misericordia, sorto a Lucca nella seconda metà del secolo XIII, ma anche l’ospedale di S. Jacopo di Altopascio, di cui abbiamo fatto cenno, sono due degli esempi più significativi presenti sul nostro territorio. Qui gli ammalati potevano ricevere alcune cure, ma la loro efficacia è da porre in relazione, ovviamente, alle conoscenze mediche dell’epoca.

           Gli hospitalia pauperum et peregrinorum, compaiono circa due secoli dopo rispetto ai primi e di solito sono ubicati in zone particolarmente isolate, lontano dai centri urbani. La loro prerogativa è quella di accogliere i pellegrini di passaggio offrendo loro vitto e alloggio sia durante le ore serali che in caso di avversità meteorologiche; tuttavia, con il trascorrere del tempo, questa funzione si diversifica e le stesse strutture si adattano a nuove esigenze. La collocazione degli hospitalia che sono presenti nel territorio di Lucca ma, soprattutto, nella valle del Serchio, è in relazione, quasi sempre, alle distanze che i viandanti sono in grado di percorrere nell’arco di un’intera giornata e alle situazioni di difficoltà o di pericolo che gli stessi possono incontrare lungo il loro cammino. Mentre alcune di queste istituzioni caritative sono situate a ridosso della via di fondovalle e delle strade che, perpendicolarmente a questa, si insinuano nelle valli secondarie del versante apuano e di quello appenninico, altre sono ubicate a quote abbastanza elevate, dove la loro presenza diventa indispensabile a causa dei rigori invernali. Tali strutture oggi vengono indicate come ‘ospedali di passo’, poiché la loro funzione era quella di offrire un riparo a tutti coloro che viaggiavano a quote piuttosto elevate o avevano necessità di attraversare qualche valico di montagna.

        Presso i vari centri di accoglienza, che possono essere più o meno organizzati, i viandanti hanno la possibilità di sostare alcuni giorni (in genere tre), di ricevere il vitto indispensabile e l’alloggio; il tutto in maniera gratuita. Spesso, a ridosso dei medesimi ospizi vi sono altri ripari che servono da ricovero per gli animali che sono in viaggio con i pellegrini. Di solito, l’importanza degli enti caritativi varia in base alla loro disposizione geografica, alla funzionalità che ciascuno presenta e alla sopravvivenza degli stessi nel corso dei secoli. Come avremo modo di verificare più avanti, Fra le molte istituzioni presenti nella valle del Serchio in epoca medievale, solo due riusciranno a garantirsi uno sviluppo prolungato nel tempo; gli altri ospedali finiranno per scomparire dopo appena due secoli dalla loro fondazione.

         Ciò nonostante, il ricordo di alcune strutture caritative del passato è rimasto vivo nella toponomastica locale tanto da consentirci di poter individuare, con notevole margine di sicurezza, la loro originaria ubicazione. E’ il caso, per esempio, della località Aginaia, nel Comune di Gallicano, dove anticamente sorgeva l’ospedale di Colle Acinaio, del quale tratteremo di seguito; oppure del sito “Pian dell’Ospedale”, nel territorio di Bagni di Lucca, dove esisteva un ospizio duecentesco oggi completamente scomparso (7).

 

Note

1) MENCACCI P. - ZECCHINI M., Lucca Romana, Lucca 1982, cap. V; SARDI, op. cit.; SOLARI, op. cit.

2) Brevi note sugli itinerari medioevali nell'Appennino reggiano, in ‘Canossa prima di Matilde’, Milano 1990, p. 26.

3) MENCACCI–ZECCHINI, op. cit., cap. V

4) Ibid., cap. V., DELLA CAPANNA M. L., Sguardo alle condizioni geografiche della Garfagnana nel secolo XIV, in ‘Atti del XX Congresso Geografico Italiano’, Roma 1967, p.3. Scrive la DELLA CAPANNA: “La valle in cui, da NNO a SSE, scorre il Serchio è in genere poco inclinata e piuttosto ampia. Le valli degli affluenti, pressoché perpendicolari a quella principale e fra loro parallele, hanno in prevalenza fondo stretto e fianchi ripidi e incidono profondamente i due versanti, suddividendoli in numerosi cantoni. Esse giungono in vicinanza della linea di cresta, la quale, se è aspra e dirupata nelle Apuane e ha invece forme meno decise e più dolci nell’Appennino, presenta sempre numerosi passi, elevati, ma di non difficile accesso.

Per la sua configurazione morfologica la Garfagnana risulta quindi facilmente percorribile e adatta all’insediamento umano, come prova il fatto che anche in passato la vallata ha avuto notevole importanza, sia come zona di transito, sia sotto l’aspetto demografico ed economico”.

5) V. GHILARDUCCI G., Diecimo. Una pieve un feudo un comune, I, Borgo a Mozzano 1990, Appendice VIII.

5) Ibid., cap. V., DELLA CAPANNA M. L., Sguardo alle condizioni geografiche della Garfagnana nel secolo XIV, in ‘Atti del XX Congresso Geografico Italiano’, Roma 1967, p.3. Scrive la DELLA CAPANNA: “La valle in cui, da NNO a SSE, scorre il Serchio è in genere poco inclinata e piuttosto ampia. Le valli degli affluenti, pressoché perpendicolari a quella principale e fra loro parallele, hanno in prevalenza fondo stretto e fianchi ripidi e incidono profondamente i due versanti, suddividendoli in numerosi cantoni. Esse giungono in vicinanza della linea di cresta, la quale, se è aspra e dirupata nelle Apuane e ha invece forme meno decise e più dolci nell’Appennino, presenta sempre numerosi passi, elevati, ma di non difficile accesso.

Per la sua configurazione morfologica la Garfagnana risulta quindi facilmente percorribile e adatta all’insediamento umano, come prova il fatto che anche in passato la vallata ha avuto notevole importanza, sia come zona di transito, sia sotto l’aspetto demografico ed economico”.

6) COTURRI E., Gli Ospedali lucchesi del periodo longobardo, in ‘Atti del Primo Congresso Italiano di Storia Ospitaliera’, Reggio Emilia 1957, pp. 148-162. L’autore indica almeno dieci xenodochia ubicati fra la città di Lucca e il suo circondario.

7) Si tratta dell’ospizio di S. Francesco di Cruciana (cfr. la nota 2 a p.148 e ss.). Vicino a questo sito scorre anche un torrente denominato “Rio Spedaletto”.

 

Tratto da:

Sul cammino del Volto Santo. Le strade e gli ospedali per pellegrini nella valle del Serchio in epoca medievale
di Guidugli Amedeo

Garfagnana editrice
Prezzo di copertina € 15,00
2013, 200 p., ill., rilegato

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